Da Anna Antenucci un ricordo del Prof. Campanacci

Non sarebbe mai nato il servizio sociale oncologico senza il professor Campanacci.

Alla nascita del centro tumori, per la chemioterapia ai pazienti oncologici, la caposala Boccarossa pretese un’assistente sociale. Ci andai io e constatai una realtà terribile in due stanze dodici pazienti  senza servizi igienici i ragazzi erano assistiti dai loro familiari che erano in uno stato di disperazione totale.

Creai un protocollo sui compiti di una assistente sociale oncologica e lo proposi al professor Campanacci che lo approvò firmandolo e lo fece firmare anche al dottor Bacci e al dottor Picci. Mi aveva capito e dato fiducia.

Al primo medico che andò a lagnarsi con lui per la mia ingerenza nel campo medico rispose testualmente “da quando c’è la dottoressa è finita la coda dell’ansia davanti al mio ufficio”. Me lo raccontò lo stesso medico con cui divenni amica.

Avevamo grossi problemi con le amputazioni le protesi avevano tempi molto lunghi e i risultati non erano soddisfacenti. Andai dal professor Smith a Vigorso e a nome del professor Campanacci dissi che il professore per i suoi ragazzi amputati voleva le migliori protesi e sperava nella sua disponibilità. Il professor Smith sentendo il nome del professor Campanacci disse subito di si. Il giorno dopo cercai il professore per dirgli quello che avevo fatto e invece che prendermi una solenne sgridata mi disse “vorrei con me più persone come lei che sanno prendersi le loro

responsabilità”. Allora capii che il professore il mio protocollo non lo aveva solo firmato ma letto attentamente.

Il professore mi permetteva di andare nel suo studio,  accendere il viseur mettere le lastre dei raggi e quando ero pronta si alzava, veniva a leggermi le lastre e se trovava un tumore maligno mi diceva “ricoveri il paziente al pronto soccorso”, mi trattava come un suo medico e mi chiamava sempre dottoressa, io rispondevo che ero solo Anna del CT e lui mi rispondeva sempre “si Dottoressa” era una comica.

Un ricordo che ancora mi scalda il cuore avvenne una mattina di primavera alle 6:30 mentre percorrevo il corridoio della quinta divisione, mi aveva fermato il padre di un paziente nuovo.

Mentre parlavo con il genitore sentii la stretta di una mano sulla spalla destra che mi dava sostegno e un attimo dopo vidi che era stato il professore che dietro di me percorreva il corridoio.

Ad un padre che lo aspettava fuori dalla sala operatoria che voleva baciargli le mani perchè  aveva fatto un miracolo salvando il figlio, lui rispose: “i miracoli li fa Dio, io sono solo il chirurgo”.

Era un uomo umile dentro come tanto severo e forte, con i suoi medici non ammetteva superficialità nel lavoro. Era una passione per lui lo studio dei tumori e trovare sempre nuove soluzioni, spesso era al viseur a leggere vetrini e il suo pranzo consisteva in un caffè con dentro un cioccolatino, il tutto per non perdere tempo. Dava autonomia ai suoi medici e concedeva ad ogni medico di operare

in base alle sue capacità ed esigenze.

Dobbiamo ricordare tutti che nella malattia ci ha insegnato come si vive da malati e come si muore

a.s.Anna

2019-04-27T07:43:35+02:0027 Aprile 2019|

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